C'ERA UNA VOLTA

Un'avvincente storia millenaria


L o Zafferano è la pianta più nobile e pregiata fin dai tempi antichi poiché il suo fiore racchiude e custodisce al suo interno il prezioso oro rosso, conosciuto da millenni per le sue qualità medicinali, olfattive, aromatiche e coloranti. Le prime tracce risalgono fin dall’età del bronzo (3300 a.C.-1200 a.C.) tra storia e leggenda.

Il termine botanico dello Zafferano è “Crocus Sativus Linnaeus” che deriverebbe dal termine ebraico “karkom” modificato dai fenici in “krakhom” , mentre il nome sardo “zaffanau” e il nome italiano “zafferano” prendono origine dal termine arabo “jafaran” trasformato dal persiano “sahafaran” derivante dalla parola “asfar” che significa giallo.



Oggi in Occidente lo Zafferano viene ancora impiegato nell’arte profumiera, per la cosmesi naturale, creme e oli profumati. Dai faraoni egizi, a Ippocrate e Dioscoride, allo Zafferano venivano riconosciute le sue facoltà farmacologiche contro i reumatismi, per ravvivare le funzioni del fegato, reni e polmoni, per il mal di denti e per i disturbi oculari.

Lo zafferano è stato diffuso in tutti gli angoli del Mar Mediterraneo grazie al popolo dei fenici, che si erano insediati sulle coste orientali del mar mediterraneo e commerciavano il legname e altri oggetti da scambiare con altri popoli.

Dopo la caduta dell’impero romano d’occidente lo zafferano subì una perdita d’immagine come bene di lusso, ma grazie agli arabi, attraversando la spagna, hanno reintrodotto lo zafferano in Europa. Gli spagnoli la consideravano una fonte di ricchezza, infatti per questo era prevista la pena di morte per chi cercava di esportare i bulbi. Grazie al coraggio e alla passione per le coltivazioni, il padre Domenico Santucci, che frequentava il tribunale dell’inquisizione spagnola, tornando in Italia verso la fine del 1300 riuscì a portare di nascosto dei bulbi e impiantarli nei terreni di Navelli in Abruzzo, qui trovò l’habitat ideale ottenendo ottimi risultati di qualità “dove ancora oggi è considerato di gran lunga superiore a quello spagnolo”.

L’utilizzo culinario dello Zafferano si affermò con il nascere della borghesia, lo speziare le pietanze era un modo di ostentare la ricchezza da parte del padrone di casa. Ma anche per i produttori e per i mercanti lo zafferano era una ricchezza “l’oro vermiglio” veniva venduto solo in casi di necessità, quando il prezzo di mercato era più favorevole o per pagare le tasse.

Il periodo d’oro dello Zafferano nella cucina Italiana risale all’incirca tra la metà del Quattrocento e la fine del Cinquecento. Nel ricettario di Martino de Rossi, cuoco degli Sforza (XV Sec.), comparivano circa 70 ricette che prevedevano l’uso dello Zafferano. Nel Registro di Cucina redatto tra il 1431 ed il 1435 da Giovanni da Bockenheim, cuoco della curia pontificia di Martino V e anche in un antico ricettario rinvenuto nel Monastero di San Tommaso a Perugia, compilato tra il 1583 ed il 1607 da Suor Maria Vittoria della Verde, su 170 ricette, ben 43 prevedono l’utilizzo dello Zafferano.

Esistono, inoltre, ricettari del XVII secolo che riportano ricette per la preparazione di inchiostri e colori gialli o dorati a base di Zafferano, oltre a ricette che ne prevedono l’utilizzo per colorare tessuti in modo naturale, come quelle presenti nei ricettari manoscritti marchigiani conservati nella Biblioteca Valentiniana di Camerino e redatti da Domenico Angelucci da Macerata tra la fine del 1600 e la metà del 1700.